ARCH-pagine

sabato 29 maggio 2010

Le architetture mobili di Maurizio Sacripanti

Maurizio Sacripanti (Roma, 1916 - 1996) è stato tra i migliori architetti al mondo. Lo contraddistinse la ricerca di architetture mobili già a  partire dal progetto del grattacielo Peugeot a Buenos Aires per un concorso del 1960.
«Mutevole, si sottrae all'immagine fissa» (1) : alto 200 metri fuori terra, il Peugeot è «un quartiere in verticale fasciato da lame sulle quali si può scrivere» (1).  E' formato da volumi, agganciati su una torre centrale delle comunicazioni, di altezze variabili da uno a dieci piani: ciascun volume rappresenta una società commerciale e il design pubblicitario è integrato alla composizione in modo da comunicare alla città le ragioni sociali delle diverse aziende.

 spaccato e vista nottirna del grattacielo Peugeot

E' organizzato su tre anelli che configurano altrettante superfici autonome dal punto di vista funzionale e costruttivo. I piani per uffici sono composti  per elementi planimetrici prefissati, le cui superfici sono componibili fino a raggiungere quella richiesta. «Il grattacielo non risulterà contenitore anonimo, ma si individuerà come somma dei volumi corrispondenti alle società che lo occupano, scandito da squarci o logge che consentirnno la visione dell'esterno dal "cuore del grattacielo"» (1) . I grandi brise-soleil in alluminio si orientano automaticamente grazie a un sistema di fotocellule e portano impressi segmenti di caratteri e simboli che compongono le scritte e i marchi desiderati.  La giuria lo giudicò il miglior progetto in concorso, ma inspiegabilmente gli assegnò un ignominioso secondo premio, dando il primo a un anonimo scatolone perché "più alto". Eppure il bando non richiedeva una gara in altezza ma un'idea innovativa. 

Semplice e geniale il progetto presentato nel 1965 al Concorso per il nuovo teatro lirico di Cagliari: un teatro in movimento. Si tratta di un unico palcoscenico, un'unica entità plastica trasformabile secondo le esigenze di ciascuna rappresentazione attraverso soffitto e pavimento mobili articolati su prismi motorizzati controllati da un sistema computerizzato.

 spaccato del Teatro mobile di Cagliari, 1965

In questo modo si sarebbero potute studiare e inventare volta per  volta le configurazioni più varie, dalle tradizionali a quelle sperimentalmente più ardite, valutandone assieme valori spaziali, rapporti pubblico-attori,  condizioni acustiche e di visibilità. Anche questo progetto fu lodato come il migliore e dovette accontentarsi di un vergognoso secondo premio.

Al Concorso per il Padiglione italiano all'Expo modiale di Osaka 1970, Sacripanti presenta ancora una volta un progetto in movimento (v. schizzo nell'immagine a inizio pagina). Ne scrisse: «forse ... ricordo di un Pantheon "messo in moto", dove la cupola diviene un sistema di lame in bilico e le murature membrane trasparenti, forse ... ricordo della capanna o della tenda ... ma più fu  la volontà di riscoprire uno spazio deltempo dove l'ombra frantumata, non più statica, lascia il cielo elusivo ed abitabile insieme... » (1). 

padiglione italiano per Osaka '70

14 lame verticali oscillano azionate da un sistema pneumatico, vincolate a un sistema di perni eccentrici cui è fissato un manto deformabile trasparente che ne segue le oscillazioni. 3035 mq di esposizione su più livelli per presentare al mondo i migliori prodotti italiani in un edificio che muta continuamente in modo imprevedibile, simbolo di un'Italia dinamica ed essa stessa in movimento. Anche questo fu giudicato il miglior progetto  e prese il secondo premio: ennesima vergogna di un paese statico e immobilista, che non voleva e  non vuole muoversi, come osservò all'epoca Bruno Zevi . 
«Sono stufo di sentirmi dire che i miei progetti sono i migliori  e poi arrivare  regolarmente secondo» ripeteva Sacripanti. I progetti cui si è accennato sono solo tre esempi di un lavoro instancabile, geniale e innovativo che lo occupò per tutta la vita: «volevo progettare la componibilità e il movimento, progettare funzioni nelle quali il tempo fosse protagonista».
La lezione di questo grande architetto italiano è stata archiviata troppo frettolosamente col solito alibi sciatto, cinico e ignavo  sempre pronto a ripetere: "era un uomo del suo tempo". Che è come dire, tra le righe, "ha fatto il suo tempo". Sacripanti, invece, è stato un uomo del nostro tempo. Soprattutto, del nostro futuro.  
G.C.

(1) Maurizio Sacripanti: Città di frontiera, Bulzoni editore, Roma 1973

2 commenti:

Emmanuele ha detto...

Uno dei pochi, unici architetti italiani che reggevano il confronto con le avanguardie a lui contigue. Hai ragione a sottolineare la sua contemporaneità. Non perché i suoi progetti sono riproducibili oggi. Non avrebbe senso. Ma per la carica evocativa che essi hanno instillato a 40, 50 anni di distanza. Se la sua influenza è riuscita a permeare mezzo secolo di architettura, allora il potere suggestivo di quelle immagini non è seconda ad altre...

r.iaboni@libero.it ha detto...

sono daccordo con Emmanuele per quanto asserito.E' tutto vero.
Sono stato un suo "tenace" e fortunato allievo nel Corso di Composizione Arch.II° a Valle Giulia nell'anno accademico 1967-68.Superare il suo esame era.... mezza laurea.Un grande immenso incomunicativo precursore dei tempi. Ricordo con piacere e deferente omaggio il suo scapigliato e sbronzo genio...Sono per sempre grato al mio maestro...colui che mi ha fatto credere nell'architettura.
roberto iaboni