«Mutevole, si sottrae all'immagine fissa» (1) : alto 200 metri fuori terra, il Peugeot è «un quartiere in verticale fasciato da lame sulle quali si può scrivere» (1). E' formato da volumi, agganciati su una torre centrale delle comunicazioni, di altezze variabili da uno a dieci piani: ciascun volume rappresenta una società commerciale e il design pubblicitario è integrato alla composizione in modo da comunicare alla città le ragioni sociali delle diverse aziende.
spaccato e vista nottirna del grattacielo Peugeot
E' organizzato su tre anelli che configurano altrettante superfici autonome dal punto di vista funzionale e costruttivo. I piani per uffici sono composti per elementi planimetrici prefissati, le cui superfici sono componibili fino a raggiungere quella richiesta. «Il grattacielo non risulterà contenitore anonimo, ma si individuerà come somma dei volumi corrispondenti alle società che lo occupano, scandito da squarci o logge che consentirnno la visione dell'esterno dal "cuore del grattacielo"» (1) . I grandi brise-soleil in alluminio si orientano automaticamente grazie a un sistema di fotocellule e portano impressi segmenti di caratteri e simboli che compongono le scritte e i marchi desiderati. La giuria lo giudicò il miglior progetto in concorso, ma inspiegabilmente gli assegnò un ignominioso secondo premio, dando il primo a un anonimo scatolone perché "più alto". Eppure il bando non richiedeva una gara in altezza ma un'idea innovativa.
Semplice e geniale il progetto presentato nel 1965 al Concorso per il nuovo teatro lirico di Cagliari: un teatro in movimento. Si tratta di un unico palcoscenico, un'unica entità plastica trasformabile secondo le esigenze di ciascuna rappresentazione attraverso soffitto e pavimento mobili articolati su prismi motorizzati controllati da un sistema computerizzato.
spaccato del Teatro mobile di Cagliari, 1965
In questo modo si sarebbero potute studiare e inventare volta per volta le configurazioni più varie, dalle tradizionali a quelle sperimentalmente più ardite, valutandone assieme valori spaziali, rapporti pubblico-attori, condizioni acustiche e di visibilità. Anche questo progetto fu lodato come il migliore e dovette accontentarsi di un vergognoso secondo premio.
Al Concorso per il Padiglione italiano all'Expo modiale di Osaka 1970, Sacripanti presenta ancora una volta un progetto in movimento (v. schizzo nell'immagine a inizio pagina). Ne scrisse: «forse ... ricordo di un Pantheon "messo in moto", dove la cupola diviene un sistema di lame in bilico e le murature membrane trasparenti, forse ... ricordo della capanna o della tenda ... ma più fu la volontà di riscoprire uno spazio deltempo dove l'ombra frantumata, non più statica, lascia il cielo elusivo ed abitabile insieme... » (1).
14 lame verticali oscillano azionate da un sistema pneumatico, vincolate a un sistema di perni eccentrici cui è fissato un manto deformabile trasparente che ne segue le oscillazioni. 3035 mq di esposizione su più livelli per presentare al mondo i migliori prodotti italiani in un edificio che muta continuamente in modo imprevedibile, simbolo di un'Italia dinamica ed essa stessa in movimento. Anche questo fu giudicato il miglior progetto e prese il secondo premio: ennesima vergogna di un paese statico e immobilista, che non voleva e non vuole muoversi, come osservò all'epoca Bruno Zevi .
«Sono stufo di sentirmi dire che i miei progetti sono i migliori e poi arrivare regolarmente secondo» ripeteva Sacripanti. I progetti cui si è accennato sono solo tre esempi di un lavoro instancabile, geniale e innovativo che lo occupò per tutta la vita: «volevo progettare la componibilità e il movimento, progettare funzioni nelle quali il tempo fosse protagonista».
La lezione di questo grande architetto italiano è stata archiviata troppo frettolosamente col solito alibi sciatto, cinico e ignavo sempre pronto a ripetere: "era un uomo del suo tempo". Che è come dire, tra le righe, "ha fatto il suo tempo". Sacripanti, invece, è stato un uomo del nostro tempo. Soprattutto, del nostro futuro. Al Concorso per il Padiglione italiano all'Expo modiale di Osaka 1970, Sacripanti presenta ancora una volta un progetto in movimento (v. schizzo nell'immagine a inizio pagina). Ne scrisse: «forse ... ricordo di un Pantheon "messo in moto", dove la cupola diviene un sistema di lame in bilico e le murature membrane trasparenti, forse ... ricordo della capanna o della tenda ... ma più fu la volontà di riscoprire uno spazio deltempo dove l'ombra frantumata, non più statica, lascia il cielo elusivo ed abitabile insieme... » (1).
padiglione italiano per Osaka '70
14 lame verticali oscillano azionate da un sistema pneumatico, vincolate a un sistema di perni eccentrici cui è fissato un manto deformabile trasparente che ne segue le oscillazioni. 3035 mq di esposizione su più livelli per presentare al mondo i migliori prodotti italiani in un edificio che muta continuamente in modo imprevedibile, simbolo di un'Italia dinamica ed essa stessa in movimento. Anche questo fu giudicato il miglior progetto e prese il secondo premio: ennesima vergogna di un paese statico e immobilista, che non voleva e non vuole muoversi, come osservò all'epoca Bruno Zevi .
«Sono stufo di sentirmi dire che i miei progetti sono i migliori e poi arrivare regolarmente secondo» ripeteva Sacripanti. I progetti cui si è accennato sono solo tre esempi di un lavoro instancabile, geniale e innovativo che lo occupò per tutta la vita: «volevo progettare la componibilità e il movimento, progettare funzioni nelle quali il tempo fosse protagonista».
G.C.
(1) Maurizio Sacripanti: Città di frontiera, Bulzoni editore, Roma 1973
2 commenti:
Uno dei pochi, unici architetti italiani che reggevano il confronto con le avanguardie a lui contigue. Hai ragione a sottolineare la sua contemporaneità. Non perché i suoi progetti sono riproducibili oggi. Non avrebbe senso. Ma per la carica evocativa che essi hanno instillato a 40, 50 anni di distanza. Se la sua influenza è riuscita a permeare mezzo secolo di architettura, allora il potere suggestivo di quelle immagini non è seconda ad altre...
sono daccordo con Emmanuele per quanto asserito.E' tutto vero.
Sono stato un suo "tenace" e fortunato allievo nel Corso di Composizione Arch.II° a Valle Giulia nell'anno accademico 1967-68.Superare il suo esame era.... mezza laurea.Un grande immenso incomunicativo precursore dei tempi. Ricordo con piacere e deferente omaggio il suo scapigliato e sbronzo genio...Sono per sempre grato al mio maestro...colui che mi ha fatto credere nell'architettura.
roberto iaboni
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